Marcia Grad
Non possiamo mai giudicare le vite
degli altri, perché ogni persona conosce solo il suo dolore e le sue rinunce.
Una cosa è sentire di essere sul giusto cammino, ma un’altra è pensare che il
tuo sia l’unico cammino.
IL DOLORE CHE IMPRIGIONA
Il dolore cambia profondamente le persone. Nessuno sarà più lo stesso dopo un
lutto, una separazione, un tradimento. Le ferite si possono rimarginare, ma le cicatrici
ricorderanno sempre quel che è stato e ciò che non potrà più essere. Tentare di scoraggiare il dolore ignorandolo, serve
solo a spostarlo altrove, poiché
quando la sofferenza diviene intollerabile, la mente afferisce a difese sempre
più rigide e disfunzionali: la negazione, la proiezione, l'identificazione
proiettiva sono solo alcune delle tante “etichette” utili al clinico per
classificare nient'altro che modalità di sopravvivenza al dolore psicologico,
quando questo supera la soglia soggettiva di sopportazione. Talvolta, quando la sofferenza emotiva non viene
raccontata, quando non incontra una “relazione di contenimento” capace di
catalizzarne la portata distruttiva, si impossessa di una parte di noi, una
parte che urla in attesa di essere ascoltata: lo stomaco quando rifiuta il
cibo, la testa quando viene ingabbiata in un dolore resistente al farmaco, la
pelle quando si ricopre di eruzioni cutanee che escludono un'origine organica.
La sofferenza a cui non si dà voce, prova a defluire all'esterno attraverso gli
incubi notturni, l'insonnia, il vissuto depressivo, il panico.
Negare il dolore non serve a
cancellarlo: lo rende solo più forte perché
gli si consente di scavare l'anima, di toglierci il fiato di giorno e di
invadere i nostri sogni di notte. Chi teme di affrontare il dolore corre il rischio di diventarne
prigioniero e di ritrovarsi ad interpretare la realtà attraverso chiavi di
lettura soggettive permeate di sfiducia e pessimismo. Congelare la sofferenza emotiva ha l'effetto di una
droga: ci fa sentire invulnerabili solo in apparenza, ha una riuscita
temporanea e ci rende dipendenti da tutti quei fattori di distrazione che ci
distolgono da noi stessi.
Anche la quotidianità rischia di subire violenti
scossoni: tutto ciò che prima apparteneva alla routine, diviene improvvisamente
faticoso, ciò che prima dava piacere e gratificazione, diventa insapore; spesso
è indispensabile concedere a se stessi e ai propri bisogni emotivi uno spazio
appropriato per esprimersi prima di ritornare ad occuparsi in modo funzionale
ed efficace delle incombenze quotidiane: le
emozioni negative ed il senso del dovere, infatti, sono come due conoscenti
pronti ad entrare apertamente in conflitto tra loro e a dichiararsi apertamente guerra quando le pressioni
esterne (incombenze quotidiane, consegne lavorative, gestione della casa e dei
figli ecc) non consentono più una pacifica convivenza.
Chiudersi a riccio per paura
Quando il desiderio di mollare tutto prende il
sopravvento, il pensiero richiama l’attenzione su quello che ci manca e ci
invita a fermarci per iniziarne la ricerca. Le
assenze, i vuoti, il non detto, l'amore non ricambiato, l'abbraccio non
ricevuto, il conforto atteso invano, il desiderio inappagato sono ciò che pesa
di più nello zaino che ognuno di noi porta sulle spalle quando attraversa la
strada della vita; quando il peso del fardello è così difficile da sopportare
da soli, è consigliabile fermarsi e cercare qualcuno che ci sollevi dalla
fatica quanto basta per sentire il desiderio di ricominciare. Se invece si sceglie di chiudersi a riccio, non
solo si rischia di restare schiacciati sotto il peso insopportabile del proprio
malessere psicologico, ma addirittura di non ricevere soccorso da chi
ci circonda, soprattutto se ci siamo mostrati sfuggenti ed evitanti per il
timore che alla nostra richiesta di supporto non seguisse nessuna mano tesa;
con un atteggiamento di questo tipo, si corre il rischio di allontanare anche
chi, nonostante la nostra reticenza a farci aiutare, ha provato sfidato i
nostri aculei, senza timore di pungersi. Quando
la sofferenza è troppo grande per essere gestita da soli, è fondamentale
chiedere aiuto: raccontare il dolore non solo non ci rende più deboli, ma spesso
ci fortifica; condividerlo non ci rende più vulnerabili, ma ci regala un nuovo
senso di leggerezza; abbandonarsi all'altro non equivale ad una
sconfitta ma spalanca le porte ad una possibilità.
La
sofferenza psichica: "scelta di comodo" o "ultima
spiaggia"?
Nessuno sceglie di stare male, ne di incatenarsi ad
una prigione fatta di insofferenza e frustrazione: le ragioni profonde alla base di un disagio
psicologico (o di un conclamato disturbo) sono sempre numerose, oltre che molto
complesse. Quando conducono il
soggetto ad una condizione di malessere insostenibile, ciascuno si difende come
meglio può. Divenire consapevoli di questo, potrebbe contribuire a guardare
alla sofferenza psichica con il rispetto che gli è dovuto, piuttosto che
giudicarla come se si trattasse di una scelta di comodo. Spesso, quelle che ci
sembrano gelide, anaffettive, impenetrabili, o semplicemente bizzarre sono
persone che in passato hanno chiesto con insistenza che le loro emozioni
fossero ascoltate, decodificate e accolte. Avendo visto la loro richiesta
cadere nell'oblio e il loro bisogno restare insoddisfatto, hanno imparato a
chiudere la porta, visto che lasciarla aperta facilitava solo l’ingresso di un
assordante silenzio. Quanto più
un comportamento altrui ci appare insensato e improbabile, tanto più è
probabile che sottenda una logica incontrovertibile alla luce dei fatti che
l’hanno determinato. Spesso è
sufficiente cambiare prospettiva per coglierne l'essenza, individuare la
corretta chiave di lettura e attivarsi per dare il proprio contributo.
Nel momento più buio della mia vita (avevo scoperto che mio padre tradiva mia madre da due anni con un'altra e fui lasciata dal mio fidanzatino di allora che se ne andò con una comune amica!) rischiai davvero la depressione. Ero giovane e insicura: iniziai a mettere di mangiare, iniziai a fumare, mi tenevo tutto dentro per non essere compatita dagli altri che mi sembravano così perfetti. Fu allora che ritrovai un'amica di scuola che avevo perso di vista qualche anno prima (allora non c'era fB!): ci incontrammo per caso, abitavamo nello stesso paese e ricominciammo a frequentarci. Era mia coetanea ma la sua saggezza era superiore a quella di tanti adulti che si comportavano da bambini. Ricordo ancora alcuni dei suoi consigli. Ora viviamo lontane, le nostre vite hanno preso strade diverse, ma ci sentiamo regolarmente. Gli girerò questo link: forse non l'ho mai ringraziata ufficialmente. Vorrei che sapesse che le sono grata e le voglio bene come ad una sorella. Grazie per aver ospitato il mio messaggio!
RispondiElimina@ X1968
EliminaAnche a me questo articolo ha fatto venire in mente uno dei periodi più brutti della mia vita, quello della separazione (ormai vi starò annoiando con la mia storia lo so!!). Anche per me gli amici sono stati molto importanti. All'inizio io ho reagito chiudendomi in casa, non mi fidavo di nessuno e odiavo sua madre che per me era la causa della fine del matrimonio. Una sera due mie amiche mi trascinarono letteralmente fuori per capelli e mi dissero delle parole durissime: mi chiesero se volessi lasciarmi andare, soffrire per amore e finire vittima delle mie stesse colpe. Quelle cose mi sembrarono uno schiaffo in piena faccia! Iniziai a capire che le colpe erano state anche mie e che non ero vittima di un mondo malvagio e ostile. Ci ho messo tanto a smettere di pensarlo e ad aprirmi a nuove storie, ma poi, come ho scritto altre volte in questo blog, ho trovato la pace e la serenità accanto a chi la meritava e ho imparato a non ripetere gli stessi errori. Ha ragione la dottoressa, quando si sta male è fondamentale chiedere aiuto per affrontare le cose brutte. E poi tutto diventa un lontano il ricordo. Il tempo guarisce molte cose!
Sono stata davvero male solo una volta nella vita a seguito di un trauma. Ho chiesto aiuto a familiari e persone care, senza ricevere niente in cambio. Era "una scelta di comodo" mi dicevano (utilizzando parole molto meno gentili!) : avevo bisogno di attirare l'attenzione su di me perché ero "gelosa" (di chi e per quale motivo ve lo risparmio altrimenti penserete che sono circondata da una banda di pazzi). Ho pianto come non mai nella mia vita, ma ho dovuto come sempre rialzarmi da sola. Questo mi ha resa più forte e più orgogliosa di me stessa ma anche più rancorosa. Oggi non tenderei la mano così volentieri a chi ha rifiutato di farlo con me! "Le cicatrici restano" lei scrive. lo confermo!
RispondiEliminaC'è una persona a cui voglio molto bene, che sta passando un momento difficile a seguito di un grave lutto. Non vuole farsi aiutare e non so come fare! Chi ha consigli da darmi? Le ho provate tutte. Ormai si sta rifiutando anche di mangiare e di uscire da casa.Ogni consiglio è ben accetto.
RispondiEliminafalle sentire il tuo affetto autentico. Magari si rifiuta di lasciarsi aiutare perchè ha paura che gli venga tesa la mano solo per poco. Oppure sta toccando il fondo e non riesce neppure a fare cenno di rialzarsi. Parlale, non scoraggiarti dai suoi rifiuti. Chiamala. Stalle vicino! Non arrenderti.
EliminaQuando hai sempre e solo ascoltato gli alttri e ti ritrovi a chiedere di essere ascoltata... ti danno della pazza! Come se essere forti escludesse la possibilità di avere qualche debolezza!
RispondiEliminaPurtroppo è vero! Grazie per i consigli.
EliminaCiao a tutte, vorrei anche io lasciare le mia esperienza. Due anni fa ho subito un aborto spontaneo dopo ripetute cure per avere una gravidanza. Dimessa dalla clinica mi sono infilata nel letto decisa a non rialzarmi più. Non avevo voglia di vedere nessuno, pretendevo che le finestre restassero chiuse, odiavo ogni genere di rumore e mi rifiutavo di mangiare. Il mio compagno e mia sorella, spaventati, le provarono tutte per impedirmi di scivolare nel tunnel della depressione. Ma forse io c'ero già caduta dentro nel momento stesso in cui avevo capito che il sogno di diventare mamma era svanito un'altra volta. Solo l'insistenza delle persone che mi volevano bene, l'amore della mia famiglia e, soprattutto, la pazienza di mio marito, mi hanno salvata dall'angoscia e da quel senso di inutile che mi faceva affondare nel sonno giorno e notte. La sua delicatezza, la sua comprensione e il suo affetto CI ha salvati (un altro uomo forse sarebbe scappato) e Ci ha consentito di realizzare il nostro desiderio più grande: siamo genitori da due mesi e la nostra famiglia è la ragione che muove ogni nostra azione. Quando si sta male o si diventa vittima di eventi terribili di qualunque natura, che non riusciamo ad affrontare da sole, bisogna accettare l'aiuto di chi ci ama. E' questo il mio messaggio
RispondiEliminaLa tua storia è intrisa di emozioni forti e contraddittorie ed è da questo vortice di vissuti contrastanti che traspare la potenza del messaggio che hai voluto veicolare: AF(FIDARSI) a chi ci ama per trarre quella forza e quella motivazione di cui particolari circostanze della nostra vita ci hanno ingiustamente privato. Auguri a te e alla tua famiglia e grazie per questi stralci di intensa esperienza emotiva che hai voluto condividere!
EliminaQuesto post fa riflettere. Io ho causato e provato dolore. Non sono mai sfuggita ad esso e qualche volta ne sono grata perché senza sofferenza non sarei quella che sono oggi. Il dolore, come dice Jung, ti regala la coscienza di te stesso, ma soprattutto, come dico io, ti regala la forza!
RispondiEliminaCiao Palma, forse il "segreto" risiede proprio in questo: nell'apprendere la lezione che la sofferenza (subìta o causata) ci lascia in eredità e trasformarla in consapevolezza (intesa come coscienza di Se), in forza come dici tu e in desiderio di concedersi nuove possibilità!!
EliminaCara Palma il dolore regala anche tante lezioni di vita. Sarebbe stupido commettere gli stessi errori! Te lo dice una che ha un elenco interminabile di sbagli alle spalle!
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