"Quando vedi rabbia negli altri, va e scava profondamente dentro di te e vedrai che quella rabbia si trova anche lì. Quando vedi troppo ego negli altri, va dentro di te e vedrai quell'ego seduto lì dentro. La dimensione interiore opera come un proiettore: gli altri diventano schermi e tu inizi a vedere dei film su di loro, che di fatto sono solo i nastri registrati di ciò che tu sei" Osho
PROIEZIONI MENTALI E
CAMBIAMENTO
Per tutto l'arco della
nostra esistenza incrociamo coppie di opposti inconciliabili. Tutte le nostre
relazioni interpersonali sono permeate da un'irriducibilità di differenze che
ci ostiniamo a voler eliminare. Comprendere che se l'altro non è come noi (o
come noi lo vorremmo) non implica che sia sbagliato, ci aiuterebbe invece ad
accogliere quella diversità come un motivo di arricchimento e
un'opportunità di crescita, riducendo notevolmente i conflitti nelle relazioni
interpersonali. Eviterebbe altresì lo spreco incommensurabile di energia
psichica a cui l'inutile (e illegittimo!) tentativo di cambiare gli altri ci
sottopone. Talvolta, l’unica ragione per cui ci lamentiamo che l’altro non
cambia è perché ci ostiniamo a dialogare solo con l’idea che la nostra mente si
è costruita di lui. Tale immagine mentale ci pone in uno spazio ibrido, a metà
tra il reale e l’irreale, in cui ogni autentico processo di cambiamento è bloccato
dalle nostre proiezioni mentali.
Cambiare, infatti, non
significa perdere la strada ma solo decidere di imboccarne una nuova, quando
quella vecchia non ci soddisfa più. Significa intravedere destinazioni che ci
spingano ad intraprendere un nuovo viaggio, più soddisfacente e gratificante di
quello attuale. Implica attrezzarsi di strumenti diversi e funzionali al
raggiungimento di nuovi obiettivi, liberandosi di quelle convinzioni limitanti
che impediscono di afferrarli e di farne buon uso. Significa, soprattutto,
lasciarsi alle spalle le proprie pretese nei confronti degli altri e le
aspettative deluse riposte nelle relazioni interpersonali.
Uso massiccio di meccanismi
proiettivi
Se invece ci si ostina
a restare chiusi nel proprio mondo fatto di lamentele, pretese, richieste
infantili, arroccati su posizioni che si potrebbero sintetizzare con
espressioni del tipo “sono fatto così”, si rischia di danneggiare se stessi e
le proprie relazioni interpersonali. Se si continua a proiettare all'esterno gli
aspetti di se negati e respinti perché dolorosi o inaccettabili, forzando l’altro a rivestire quei contenuti, non si
fa che alimentare circoli viziosi: proiettare infatti, elude lo sforzo della
consapevolezza e ostacola i processi
di cambiamento. Collocare “ciò
che non va” al di fuori di se stessi regala l'illusione di potersi
deresponsabilizzare rispetto agli aspetti proiettati: disconoscere alcune parti
scomode di se ci esime dal dovere di modificarle per renderle più flessibili e
funzionali ai processi di cambiamento. L’uso massiccio di meccanismi proiettivi tra l’altro,
non solo indebolisce la capacità dell’Io di esaminare la realtà (la cui
percezione risulterà più o meno gravemente distorta) ma incide in modo negativo
anche sulla capacità di
mentalizzazione dell’adulto
verso il partner e verso i figli. Con il termine “mentalizzazione” ci si
riferisce alla capacità di “pensare” gli stati mentali propri e altrui e di
concepirli in modo sufficientemente realistico come motivazione alla base dei
reciproci comportamenti.
Quanto più attraverso il meccanismo
della proiezione, ci estraniamo da alcune parti di noi stessi, tanto più
compromettiamo i sani processi di integrazione del Sè, nonché la
sana gestione della componente emotiva, correndo il rischio di rimanere
intrappolati nella solitudine delle critiche che rivolgiamo agli
altri. Infatti, quanto più i giudizi che formuliamo nei confronti di chi
ci circonda risultano rigidi, lapidari, cinici, tanto più è probabile che li
stiamo rivolgendo ad aspetti e caratteristiche altrui che (per ragioni etiche,
religiose, educative ecc.), noi rinneghiamo in noi stessi e che confluiscono in
quella che Jung chiamava la nostra “Ombra”. Il processo descritto, per
quanto di natura a pieno titolo difensiva, non esonera la psiche da un carico
di sofferenza talvolta difficile da contenere: non riuscire ad accettare
benevolmente e ad integrare in modo efficace le molteplici sfaccettature di cui
siamo composti infatti, ci espone a numerose e diversificate evoluzioni
psicopatologiche, non ultimo quelle legate a disturbi di natura psicosomatica.
Ricognizione
dell'Ombra e processo di individuazione
Con il termine “autoconsapevolezza”
si fa riferimento alla capacità di sintonizzarsi sul proprio vero Sé, abilità
alla base dei
processi di autoconoscenza e autorealizzazione. Questi processi, faticosi e dispendiosi sul piano
psichico, possono essere avviati da parte di colui che è disposto ad entrare in
contatto con le proprie emozioni, i propri bisogni e, soprattutto, le proprie
risorse interiori, il più delle volte sottovalutate. Intraprendere questo
viaggio consente di riscoprire la propria storia personale e rileggerla
attraverso una lente di ingrandimento in grado di restituircela depurata da
quegli ostacoli che bloccano la crescita personale e che ci impediscono di
guardare fiduciosi al futuro avviando quel processo che Jung chiama “individuazione” e che conduce
alla costruzione di una personalità consapevole delle proprie risorse e delle
proprie aspirazioni, capace di integrare se stessa nella rete di relazioni
interpersonali in cui si muove. Quando questo viaggio comporta un
notevole carico di sofferenza, sarebbe auspicabile richiedere un sostegno
psicologico che consenta al soggetto di riconoscere le parti di sè proiettate
sull'altro, ad accettarle come proprie e ad integrarle dentro di sé. Il riconoscimento delle proprie proiezioni
rappresenta la via regia per la ricognizione della propria Ombra.
Come osserva Jung, l'Ombra
abbandonata al negativo è destinata a sopravvivere autonomamente,
senza nessuna relazione con il resto della personalità: questo comporta il
blocco di ogni autentico processo maturativo dell’individuo: il processo di 'individuazione
non può prescindere da quello di ricognizione della propria Ombra, ovvero del
riconoscimento di quelle “caratteristiche nascoste, sfavorevoli e di quelle
funzioni sviluppatesi in maniera incompleta”. Scriveva Jung “Un
uomo posseduto dalla propria Ombra inciampa costantemente nei
suoi errori. Ogniqualvolta è possibile, egli preferirà fare un impressione
sfavorevole agli altri. A lungo andare la buona sorte è sempre contro di lui,
poiché vive al di sotto del proprio livello e, nel migliore dei casi, raggiunge
solo quello che non gli compete e non gli concerne. Se non c'è alcun
ostacolo in cui inciampare,egli se ne costruirà uno apposta e poi crederà
fermamente di aver fatto qualcosa di utile”.
Sebbene Jung sostenesse che siamo molto peggiori di quanto
noi stessi crediamo, evitare di soffocare quell'uomo inferiore e
primitivo che alberga dentro di noi, ci consentirebbe almeno di limitare il suo
potere di farci del male.
Condivido ogni parola.
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