sabato 26 aprile 2014

La Mente e i suoi strumenti: la Proiezione


"Quando vedi rabbia negli altri, va e scava profondamente dentro di te e vedrai che quella rabbia si trova anche lì. Quando vedi troppo ego negli altri, va dentro di te e vedrai quell'ego seduto lì dentro. La dimensione interiore opera come un proiettore: gli altri diventano schermi e tu inizi a vedere dei film su di loro, che di fatto sono solo i nastri registrati di ciò che tu sei"  Osho

PROIEZIONI MENTALI E CAMBIAMENTO

Per tutto l'arco della nostra esistenza incrociamo coppie di opposti inconciliabili. Tutte le nostre relazioni interpersonali sono permeate da un'irriducibilità di differenze che ci ostiniamo a voler eliminare. Comprendere che se l'altro non è come noi (o come noi lo vorremmo) non implica che sia sbagliato, ci aiuterebbe invece ad accogliere quella diversità come un motivo di arricchimento e un'opportunità di crescita, riducendo notevolmente i conflitti nelle relazioni interpersonali. Eviterebbe altresì lo spreco incommensurabile di energia psichica a cui l'inutile (e illegittimo!) tentativo di cambiare gli altri ci sottopone. Talvolta, l’unica ragione per cui ci lamentiamo che l’altro non cambia è perché ci ostiniamo a dialogare solo con l’idea che la nostra mente si è costruita di lui. Tale immagine mentale ci pone in uno spazio ibrido, a metà tra il reale e l’irreale, in cui ogni autentico processo di cambiamento è bloccato dalle nostre proiezioni mentali.
Cambiare, infatti, non significa perdere la strada ma solo decidere di imboccarne una nuova, quando quella vecchia non ci soddisfa più. Significa intravedere destinazioni che ci spingano ad intraprendere un nuovo viaggio, più soddisfacente e gratificante di quello attuale. Implica attrezzarsi di strumenti diversi e funzionali al raggiungimento di nuovi obiettivi, liberandosi di quelle convinzioni limitanti che impediscono di afferrarli e di farne buon uso. Significa, soprattutto, lasciarsi alle spalle le proprie pretese nei confronti degli altri e le aspettative deluse riposte nelle relazioni interpersonali.
Uso massiccio di meccanismi proiettivi

Se invece ci si ostina a restare chiusi nel proprio mondo fatto di lamentele, pretese, richieste infantili, arroccati su posizioni che si potrebbero sintetizzare con espressioni del tipo “sono fatto così”, si rischia di danneggiare se stessi e le proprie relazioni interpersonali. Se si continua a proiettare all'esterno gli aspetti di se negati e respinti perché dolorosi o inaccettabili, forzando l’altro a rivestire quei contenuti, non si fa che alimentare circoli viziosi: proiettare infatti, elude lo sforzo della consapevolezza e ostacola i processi di cambiamento.  Collocare “ciò che non va” al di fuori di se stessi regala l'illusione di potersi deresponsabilizzare rispetto agli aspetti proiettati: disconoscere alcune parti scomode di se ci esime dal dovere di modificarle per renderle più flessibili e funzionali ai processi di cambiamento. L’uso massiccio di meccanismi proiettivi tra l’altro, non solo indebolisce la capacità dell’Io di esaminare la realtà (la cui percezione risulterà più o meno gravemente distorta) ma incide in modo negativo anche sulla capacità di mentalizzazione dell’adulto verso il partner e verso i figli. Con il termine “mentalizzazione” ci si riferisce alla capacità di “pensare” gli stati mentali propri e altrui e di concepirli in modo sufficientemente realistico come motivazione alla base dei reciproci comportamenti.
Quanto più attraverso il meccanismo della proiezione, ci estraniamo da alcune parti di noi stessi, tanto più compromettiamo i sani processi di integrazione del Sè, nonché la sana gestione della componente emotiva, correndo il rischio di rimanere intrappolati nella solitudine delle critiche che rivolgiamo agli altri. Infatti, quanto più i giudizi che formuliamo nei confronti di chi ci circonda risultano rigidi, lapidari, cinici, tanto più è probabile che li stiamo rivolgendo ad aspetti e caratteristiche altrui che (per ragioni etiche, religiose, educative ecc.), noi rinneghiamo in noi stessi e che confluiscono in quella che Jung chiamava la nostra “Ombra”. Il processo descritto, per quanto di natura a pieno titolo difensiva, non esonera la psiche da un carico di sofferenza talvolta difficile da contenere: non riuscire ad accettare benevolmente e ad integrare in modo efficace le molteplici sfaccettature di cui siamo composti infatti, ci espone a numerose e diversificate evoluzioni psicopatologiche, non ultimo quelle legate a disturbi di natura psicosomatica.
Ricognizione dell'Ombra e processo di individuazione

Con il termine “autoconsapevolezza” si fa riferimento alla capacità di sintonizzarsi sul proprio vero Sé, abilità alla base dei processi di autoconoscenza e autorealizzazione. Questi processi, faticosi e dispendiosi sul piano psichico, possono essere avviati da parte di colui che è disposto ad entrare in contatto con le proprie emozioni, i propri bisogni e, soprattutto, le proprie risorse interiori, il più delle volte sottovalutate. Intraprendere questo viaggio consente di riscoprire la propria storia personale e rileggerla attraverso una lente di ingrandimento in grado di restituircela depurata da quegli ostacoli che bloccano la crescita personale e che ci impediscono di guardare fiduciosi al futuro avviando quel processo che Jung chiama “individuazione” e che conduce alla costruzione di una personalità consapevole delle proprie risorse e delle proprie aspirazioni, capace di integrare se stessa nella rete di relazioni interpersonali in cui si muove. Quando questo viaggio comporta un notevole carico di sofferenza, sarebbe auspicabile richiedere un sostegno psicologico che consenta al soggetto di riconoscere le parti di sè proiettate sull'altro, ad accettarle come proprie e ad integrarle dentro di sé.  Il riconoscimento delle proprie proiezioni rappresenta la via regia per la ricognizione della propria Ombra.
Come osserva Jungl'Ombra abbandonata al negativo è destinata a sopravvivere autonomamente, senza nessuna relazione con il resto della personalità: questo comporta il blocco di ogni autentico processo maturativo dell’individuo: il processo di 'individuazione non può prescindere da quello di ricognizione della propria Ombra, ovvero del riconoscimento di quelle “caratteristiche nascoste, sfavorevoli e di quelle funzioni sviluppatesi in maniera incompleta”. Scriveva Jung “Un uomo posseduto dalla propria Ombra inciampa costantemente nei suoi errori. Ogniqualvolta è possibile, egli preferirà fare un impressione sfavorevole agli altri. A lungo andare la buona sorte è sempre contro di lui, poiché vive al di sotto del proprio livello e, nel migliore dei casi, raggiunge solo quello che non gli compete e non gli concerne. Se non c'è alcun ostacolo in cui inciampare,egli se ne costruirà uno apposta e poi crederà fermamente di aver fatto qualcosa di utile”.
Sebbene Jung sostenesse che siamo molto peggiori di quanto noi stessi crediamo, evitare di soffocare quell'uomo inferiore e primitivo che alberga dentro di noi, ci consentirebbe almeno di limitare il suo potere di farci del male.

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