Fino a quando non arriva quella notizia inattesa che ti obbliga a fermarti e a fare i conti con ciò che non avresti mai voluto affrontare; quel momento che blocca lo scorrere della tua esistenza e ti costringe a rimettere tutto in discussione; quell'evento che ti obbliga a fare i conti davvero con quel devastante vissuto di perdita e con il travolgente senso di solitudine che ne deriva.
In quell'istante il senso di impotenza che ti paralizza ti comunica che non c’è più tempo per "rimediare, incontrare, confrontarsi e ricominciare". Da quel momento in poi niente sarà più come prima … "
L' INACCETTABILE SENSO DI
VUOTO
Quando si subisce una perdita, si diventa ostaggio di stati emotivi angoscianti e travolgenti. L’incredulità si alterna al senso di impotenza, il dolore alla negazione della realtà.
Spesso si tende a soffocare questi
vissuti, a ignorarli, sperando, in preda ad una sorta di pensiero magico infantile,
che improvvisamente scompaiano. Il tentativo di inibirli influisce
negativamente sul processo di comprensione e rielaborazione dell’evento
doloroso (trauma, lutto, separazione). Prevale la sensazione di aver smarrito
anche una parte di se stessi: quella parte di noi intrinsecamente legata a ciò
che abbiamo perduto. Si oscilla tra la consapevolezza del
cambiamento e l’incapacità di accettarlo: acconsentirvi (ovvero
accettare la perdita) significherebbe rivedere il proprio Progetto di Vita, con
tutte le aspettative e le speranze ad esso connesse. La potenza di questi
vissuti dolorosi fa sentire confusi, smarriti e drammaticamente impreparati al
processo di adattamento che i nuovi eventi richiedono. Si percepisce unicamenteil vuoto
incolmabile che quella perdita ha prodotto nel proprio mondointeriore.
Questi sentimenti, per quanto dirompenti e
sconcertanti, non andrebbero inibiti, censurati o soffocati, ma dovrebbero
trovare un “contenitore” valido per poter essere accolti e trasformati.
Colmare la perdita con l'effimero: due casi emblematici
· Durante una lezione in un istituto scolastico, una ragazzina poco più che
tredicenne, alzò timidamente la mano per chiedere quale fosse secondo me la
cosa più efficace da fare per aiutare qualcuno a superare una perdita
importante; risposi dapprima in modo approssimativo, cercando poi di
approfondire le motivazioni che l’avevano spinta a spostare il tema
(di tutt'altra natura) su un terreno così delicato e di raccogliere
le informazioni che mi avrebbero consentito di cogliere in tutta la sua
pienezza il senso della sua domanda. Raccontò della recente morte della sua
migliore amica (frequentante lo stesso istituto), descrisse il modo in cui gli
adulti che la circondavano, in casa e a scuola, fingevano che non fosse
accaduto nulla e di come le fosse stato anche impedito di partecipare al suo
funerale. Aggiunse, con la voce rotta dall'emozione, che nell'unica circostanza
in cui aveva provato a raccontare in famiglia il suo dolore,
chiedendo esplicitamente ai suoi cari di farsene carico, le venne proposto di
andare a fare una passeggiata per acquistare un paio di scarpe all'ultima moda.
Dopo il suo commovente intervento, si sollevò un coro di altre voci di
ragazzini smarriti di fronte all'idea che la morte potesse
sopraggiungere anche nel pieno della giovinezza e della voglia di vivere
come era accaduto alla loro compagna deceduta. Nei giorni successivi, si decise
insieme ai docenti referenti del corso e alla Dirigente, di
avviare nell'istituto uno sportello d’ascolto psicologico, per
fornire ai ragazzi il supporto di cui necessitavano e aiutarli nella
comprensione degli eventi che li avevano così profondamente turbati.
· Nel corso di un colloquio finalizzato al rafforzamento delle competenze
genitoriali, una giovane donna accennò frettolosamente al modo in cui, molti
mesi prima, il compagno aveva abbandonato lei e i suoi figli per ricostruirsi
una vita altrove, senza più farsi vivo. Ritenni di peculiare importanza
approfondire quella tappa fondamentale della storia di quella famiglia, anche
alla luce delle finalità previste dal nostro incontro. Dopo un iniziale
atteggiamento di reticenza, la donna ripercorse mentalmente il momento in cui
era venuta a conoscenza della vita parallela del proprio compagno e la
devastazione emotiva che ne era seguita; descrisse lo sconforto per tutti i
progetti di vita delusi e la paura di non essere all'altezza di accudire
i propri figli compensando l’assenza del loro padre. Quando le chiesi di
raccontarmi la sofferenza sottostante ai fatti che mi aveva appena
minuziosamente descritto, lei mi guardò smarrita, dicendo che fino a quel
momento le erano stati dispensati solo consigli su come fare per distrarsi, per
non pensare all'accaduto e per intraprendere una nuova relazione.
Nessuno, in quei mesi, le aveva mai chiesto come si sentisse nella nuova
condizione, né l’aveva aiutata ad affrontare il vissuto di tradimento e
abbandono. Lavorare insieme su queste tematiche aiutò la giovane madre a
superare il disorientamento che il tradimento e la separazione subita le
avevano causato e a recuperare, in un secondo tempo, una genitorialità più sana
e consapevole.
Evitare di soffocare il dolore per non restare soffocati dal dolore
Evitare di soffocare il dolore per non restare soffocati dal dolore
I due casi appena riportati sono
emblematici di un atteggiamento molto diffuso (anche se probabilmente frutto
delle più benevoli intenzioni) fondato sulla negazione delle
emozioni connesse al vissuto di perdita. Raramente, dinanzi a qualcuno
che esprime un dolore, gli si consente di raccontarlo, anche quando si crede di
fare il contrario. Spesso, lo si liquida con frasi preconfezionate “sii forte”,
“adesso devi reagire”, “devi rifarti una vita” o (nel caso di un lutto) “la
persona che non c’è più non ti vorrebbe veder piangere” e così via…
Chiedere a chi sta soffrendo, di smettere
di farlo, significa costringerlo in una condizione concettualmente assurda: da
un lato è come se gli si dicesse “non esprimere il tuo dolore perché io non
intendo ascoltarlo”, dall'altro significa insinuare la mancanza di
volontà, nell'altro, di superare quella sofferenza. Questo tipo
di comportamento, (sebbene agito con le migliori intenzioni), spesso aggiunge alla
pena di chi soffre anche un sentimento di colpa e intensifica il vissuto di
solitudine. Il richiamo alla volontà (di smettere di provare
dolore), infatti, nega la difficoltà dell’altro e lo rende responsabile
dell’insieme di sentimenti negativi che lo imprigionano: la colpevolizzazione
sottende l’intenzionalità di chi soffre di mantenere quel comportamento
(piangere, disperarsi, ritirarsi dalle relazioni interpersonali).
Il dolore e la sofferenza connessi ad una
perdita (di qualunque natura essa sia) vanno sviscerati in tutte le loro
dimensioni, scandagliati in tutte le più recondite sfaccettature e,
soprattutto, raccontati a se stessi e ad un Altro capace di accoglierli con la
dovuta delicatezza.
Il confronto con l’Altro, un confronto autentico sul piano emotivo, consente di dare voce alla propria
sofferenza e di intraprendere quel doloroso processo che permetterà, nel tempo,
un nuovo adattamento dell’individuo; un processo che culmina con la capacità di
elaborare l’accaduto e recuperare l’eredità che quella relazione interrotta ha
lasciato in termini di crescita personale ed emotiva.
Quando ho perso il mio migliore amico mi è stato regalato un viaggio in Spagna. Come se in Spagna non avrei pensato a lui....Che stupidaggine!
RispondiEliminaQuasi sempre, chi cerca di consolare qualcuno "colmando la perdita con l'effimero" lo fa, come scrivevo nel post, con le migliori intenzioni. Molte persone hanno delle reali difficoltà ad ascoltare il dolore altrui e le motivazioni sono molteplici: possono loro stesse non aver ancora elaborato un lutto/una perdita, possono avere scarsa familiarità con "l'intelligenza emotiva", possono non "sentirsi all'altezza" di offrire un aiuto valido ecc. In molti casi il dolore altrui rievoca il proprio perciò preferiscono reagire con "l'evitamento". Se cerchi ancora notizie sull'argomento (visto che sei arrivato in questo blog) posso ipotizzare che ancora non abbia elaborato il dolore connesso alla terribile esperienza vissuta. Quando il contesto che ci circonda, non riesce (o non può) offrire il sostegno necessario, rivolgersi ad un professionista può rivelarsi risolutivo. Ti abbraccio.
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