giovedì 20 febbraio 2014

Dalla Negazione all'Accettazione. Raccontare il Dolore per trasformarlo

Dalla negazione all'accettazione.

"Nella vita ho perso molte cose. Alcune a causa della mie fragilità, altre a causa dell'ingratitudine altrui, altre ancora semplicemente per distrazione. Così nel tempo ho collezionato cumuli di occhiali, chiavi e ambizioni smarrite. Ho lasciato alle mie spalle numeri di telefono, indirizzi e promesse. Ho dimenticato inviti e sottovalutato opportunità. Ma, soprattutto, sono diventata la regina delle occasioni mancate. Quella che pensa che c’è sempre tempo per rimediare, incontrare, confrontarsi e ricominciare. Quella che rimanda una telefonata, che posticipa un incontro, che rinvia un appuntamento. Quella che “tanto c’è tempo ed ora ho faccende più urgenti da sbrigare”.
Fino a quando non arriva quella notizia inattesa che ti obbliga a fermarti e a fare i conti con ciò che non avresti mai voluto affrontare; quel momento che blocca lo scorrere della tua esistenza e ti costringe a rimettere tutto in discussione; quell'evento che ti obbliga a fare i conti davvero con quel devastante vissuto di perdita e con il travolgente senso di solitudine che ne deriva. 
In quell'istante il senso di impotenza che ti paralizza ti comunica che non c’è più tempo per "rimediare, incontrare, confrontarsi e ricominciare". Da quel momento in poi niente sarà più come prima … "  

L' INACCETTABILE SENSO DI VUOTO

Quando si subisce una perdita, si diventa ostaggio di stati emotivi angoscianti e travolgenti. L’incredulità si alterna al senso di impotenza, il dolore alla negazione della realtà. 
Spesso si tende a soffocare questi vissuti, a ignorarli, sperando, in preda ad una sorta di pensiero magico infantile, che improvvisamente scompaiano. Il tentativo di inibirli influisce negativamente sul processo di comprensione e rielaborazione dell’evento doloroso (trauma, lutto, separazione). Prevale la sensazione di aver smarrito anche una parte di se stessi: quella parte di noi intrinsecamente legata a ciò che abbiamo perduto. Si oscilla tra la consapevolezza del cambiamento e l’incapacità di accettarlo: acconsentirvi (ovvero accettare la perdita) significherebbe rivedere il proprio Progetto di Vita, con tutte le aspettative e le speranze ad esso connesse. La potenza di questi vissuti dolorosi fa sentire confusi, smarriti e drammaticamente impreparati al processo di adattamento che i nuovi eventi richiedono. Si percepisce unicamenteil vuoto incolmabile che quella perdita ha prodotto nel proprio mondointeriore.
Questi sentimenti, per quanto dirompenti e sconcertanti, non andrebbero inibiti, censurati o soffocati, ma dovrebbero trovare un “contenitore” valido per poter essere accolti e trasformati.

Colmare la perdita con l'effimero: due casi emblematici


· Durante una lezione in un istituto scolastico, una ragazzina poco più che tredicenne, alzò timidamente la mano per chiedere quale fosse secondo me la cosa più efficace da fare per aiutare qualcuno a superare una perdita importante; risposi dapprima in modo approssimativo, cercando poi di approfondire le motivazioni che l’avevano spinta a spostare il tema (di tutt'altra natura) su un terreno così delicato e di raccogliere le informazioni che mi avrebbero consentito di cogliere in tutta la sua pienezza il senso della sua domanda. Raccontò della recente morte della sua migliore amica (frequentante lo stesso istituto), descrisse il modo in cui gli adulti che la circondavano, in casa e a scuola, fingevano che non fosse accaduto nulla e di come le fosse stato anche impedito di partecipare al suo funerale. Aggiunse, con la voce rotta dall'emozione, che nell'unica circostanza in cui aveva provato a raccontare in famiglia il suo dolore, chiedendo esplicitamente ai suoi cari di farsene carico, le venne proposto di andare a fare una passeggiata per acquistare un paio di scarpe all'ultima moda. Dopo il suo commovente intervento, si sollevò un coro di altre voci di ragazzini smarriti di fronte all'idea che la morte potesse sopraggiungere anche nel pieno della giovinezza e della voglia di vivere come era accaduto alla loro compagna deceduta. Nei giorni successivi, si decise insieme ai docenti referenti del corso e alla Dirigente, di avviare nell'istituto uno sportello d’ascolto psicologico, per fornire ai ragazzi il supporto di cui necessitavano e aiutarli nella comprensione degli eventi che li avevano così profondamente turbati.
· Nel corso di un colloquio finalizzato al rafforzamento delle competenze genitoriali, una giovane donna accennò frettolosamente al modo in cui, molti mesi prima, il compagno aveva abbandonato lei e i suoi figli per ricostruirsi una vita altrove, senza più farsi vivo. Ritenni di peculiare importanza approfondire quella tappa fondamentale della storia di quella famiglia, anche alla luce delle finalità previste dal nostro incontro. Dopo un iniziale atteggiamento di reticenza, la donna ripercorse mentalmente il momento in cui era venuta a conoscenza della vita parallela del proprio compagno e la devastazione emotiva che ne era seguita; descrisse lo sconforto per tutti i progetti di vita delusi e la paura di non essere all'altezza di accudire i propri figli compensando l’assenza del loro padre. Quando le chiesi di raccontarmi la sofferenza sottostante ai fatti che mi aveva appena minuziosamente descritto, lei mi guardò smarrita, dicendo che fino a quel momento le erano stati dispensati solo consigli su come fare per distrarsi, per non pensare all'accaduto e per intraprendere una nuova relazione. Nessuno, in quei mesi, le aveva mai chiesto come si sentisse nella nuova condizione, né l’aveva aiutata ad affrontare il vissuto di tradimento e abbandono. Lavorare insieme su queste tematiche aiutò la giovane madre a superare il disorientamento che il tradimento e la separazione subita le avevano causato e a recuperare, in un secondo tempo, una genitorialità più sana e consapevole.

Evitare di soffocare il dolore per non restare soffocati dal dolore
I due casi appena riportati sono emblematici di un atteggiamento molto diffuso (anche se probabilmente frutto delle più benevoli intenzioni) fondato sulla negazione delle emozioni connesse al vissuto di perdita. Raramente, dinanzi a qualcuno che esprime un dolore, gli si consente di raccontarlo, anche quando si crede di fare il contrario. Spesso, lo si liquida con frasi preconfezionate “sii forte”, “adesso devi reagire”, “devi rifarti una vita” o (nel caso di un lutto) “la persona che non c’è più non ti vorrebbe veder piangere” e così via…
Chiedere a chi sta soffrendo, di smettere di farlo, significa costringerlo in una condizione concettualmente assurda: da un lato è come se gli si dicesse “non esprimere il tuo dolore perché io non intendo ascoltarlo”, dall'altro significa insinuare la mancanza di volontà, nell'altro, di superare quella sofferenza. Questo tipo di comportamento, (sebbene agito con le migliori intenzioni), spesso aggiunge alla pena di chi soffre anche un sentimento di colpa e intensifica il vissuto di solitudine. Il richiamo alla volontà (di smettere di provare dolore), infatti, nega la difficoltà dell’altro e lo rende responsabile dell’insieme di sentimenti negativi che lo imprigionano: la colpevolizzazione sottende l’intenzionalità di chi soffre di mantenere quel comportamento (piangere, disperarsi, ritirarsi dalle relazioni interpersonali).
Il dolore e la sofferenza connessi ad una perdita (di qualunque natura essa sia) vanno sviscerati in tutte le loro dimensioni, scandagliati in tutte le più recondite sfaccettature e, soprattutto, raccontati a se stessi e ad un Altro capace di accoglierli con la dovuta delicatezza.
Il confronto con l’Altro, un confronto autentico sul piano emotivo, consente di dare voce alla propria sofferenza e di intraprendere quel doloroso processo che permetterà, nel tempo, un nuovo adattamento dell’individuo; un processo che culmina con la capacità di elaborare l’accaduto e recuperare l’eredità che quella relazione interrotta ha lasciato in termini di crescita personale ed emotiva.


2 commenti:

  1. Quando ho perso il mio migliore amico mi è stato regalato un viaggio in Spagna. Come se in Spagna non avrei pensato a lui....Che stupidaggine!

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  2. Quasi sempre, chi cerca di consolare qualcuno "colmando la perdita con l'effimero" lo fa, come scrivevo nel post, con le migliori intenzioni. Molte persone hanno delle reali difficoltà ad ascoltare il dolore altrui e le motivazioni sono molteplici: possono loro stesse non aver ancora elaborato un lutto/una perdita, possono avere scarsa familiarità con "l'intelligenza emotiva", possono non "sentirsi all'altezza" di offrire un aiuto valido ecc. In molti casi il dolore altrui rievoca il proprio perciò preferiscono reagire con "l'evitamento". Se cerchi ancora notizie sull'argomento (visto che sei arrivato in questo blog) posso ipotizzare che ancora non abbia elaborato il dolore connesso alla terribile esperienza vissuta. Quando il contesto che ci circonda, non riesce (o non può) offrire il sostegno necessario, rivolgersi ad un professionista può rivelarsi risolutivo. Ti abbraccio.

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