giovedì 8 maggio 2014

Elaborazione del Lutto nei Bambini

Il lutto si impone all'adulto come al bambino. 
Costituisce una prova di grande maturità tramite la quale ognuno prende coscienza della mortalità dell’essere umano, di se stesso come dei propri cari. 
Ma aiuta anche a prendere coscienza del fatto che la persona che muore non trascina i vivi con sé nella morte, non ferma la vita. D. Oppenheim

Solo coloro che si tengono lontani dall'amore possono evitare la tristezza del lutto. L'importante è crescere, tramite il lutto e rimanere vulnerabile all'amore. John Brantner
PERCHÉ NON C'E' PIÙ?
Quando un lutto sopraggiunge all'interno di una famiglia, sia che sia stato preannunciato da un periodo di malattia, sia che sia arrivato inaspettatamente, ha l’inevitabile effetto di far sprofondare tutti in un dolore profondo e angosciante. 
Le reazioni immediate a questa sofferenza sono profondamente diverse e soggette ad una molteplicità di variabili. Al di là della soggettività nell'espressione della propria angoscia (c’è chi ripercorre ossessivamente la sequenza degli eventi che hanno preceduto la morte e chi preferisce eliminare tutto ciò che ricordi la persona perduta, chi reagisce con rabbia e chi con senso di colpa...), quando un nucleo familiare è scosso da un dolore così profondo, l’evento “lutto” si configura come un'insanabile spartiacque tra “ciò che è stato e ciò che non potrà più essere”. 
L’ineluttabile sentimento di impotenza e di perdita di controllo che imprigionano chi ha subito la perdita, frequentemente si associano ad un sentimento di protezione nei confronti dei più piccoli, finalizzato a preservarli dal medesimo dolore. Tale atteggiamento spinge molti adulti a tenere i bambini all'oscuro di ciò che sta accadendo in famiglia, fino ad arrivare, nei casi più estremi (ma tutt'altro che rari) a rimandare per lunghi periodi anche la comunicazione della morte. 
I bambini, anche quelli in età prescolare, quando accade qualcosa in famiglia (anche in caso di conflitti familiari, separazioni ecc) percepiscono chiaramente che “qualcosa non va”; le emozioni negative degli adulti li influenzano più di quanto non farebbero le parole usate per descriverle. L’impossibilità di parlare di argomenti così dolorosi, l’inaccessibilità degli adulti di riferimento nel fornire le risposte di cui avrebbero bisogno, spinge il più delle volte il bambino a elaborare complesse ipotesi e congetture sulle cause del clima di sofferenza e/o tensione che si respira in casa, fino a immaginare, paradossalmente, scenari ancora più angoscianti di quelli reali.

Alcune sequenze cliniche esemplificative
Alessio, 7 anni, ha perso il nonno paterno da poche settimane; gli è stata comunicata la notizia della morte, tre giorni dopo il funerale. Quando la mamma gli ha raccontato quanto era accaduto, Alessio le ha confidato che durante il periodo della malattia (durata tre mesi, nel corso dei quali nessuno aveva aiutato il bambino a dare un senso a quanto stava accadendo), non solo aveva intuito che “non avrebbe più potuto giocare con il nonno” ma aveva temuto di perdere anche la zia “perché anche lei era sempre in ospedale” (in realtà la donna si occupava dell’assistenza del padre e non aveva nessun problema di salute!).

Nonostante le più benevoli intenzioni, evitare di parlare ad un bambino della morte e delle emozioni legate al lutto, non solo non cancella il suo dolore, ma rischia addirittura di inasprirlo. Spesso, addirittura, il comune senso di colpa che si registra in un bambino che ha subito una perdita importante, diviene così opprimente ed angosciante (proprio perché inespresso) da generare reazioni disadattive al lutto.

Matilde, 5 anni, ripete continuamente alla mamma che le dispiace di non aver ubbidito al nonno il giorno prima che lui “volasse in cielo” (l’uomo, sano e poco più che cinquantenne, era morto inaspettatamente d’infarto durante la notte): “se avessi ubbidito quando mi ha chiesto di mettere a posto i giocattoli, non si sarebbe arrabbiato con me; invece, ha pensato che io sono una bambina cattiva e ha preferito andare a giocare con gli angeli”.

In casi ancora più estremi, le reazioni possono addirittura configurarsi come francamente patologiche e necessitare un intervento psicologico.

Martina, 8 anni, viene informata della morte della zia paterna a cui era molto affezionata, da un compagno di scuola: la donna, poco più trentenne e madre di due bambini piccoli, dopo una lunga e devastante malattia, era deceduta e quel pomeriggio si sarebbero dovuti celebrare i funerali. I genitori di Martina, per proteggerla dalla disperazione di cui erano, legittimamente preda tutti i familiari, decidono di accompagnarla comunque a scuola, rimandando al momento successivo alla sepoltura la comunicazione di quanto accaduto. Il coetaneo della bambina, inconsapevolmente e ingenuamente, riferisce a Martina che quel pomeriggio i propri genitori (amici di famiglia) avrebbero partecipato alle esequie di sua zia. Da quella notte iniziano a verificarsi ripetuti episodi di enuresi notturna e dal giorno dopo si registra un rifiuto ostinato nei confronti dell’ambiente scolastico, associato a pianto inconsolabile e malesseri somatici al momento di separarsi dalle figure genitoriali. Dopo qualche settimana, Martina viene sottoposta a valutazione psicologica grazie alla quale viene formulata la diagnosi di "Disturbo d’ansia da separazione". Dalla consulenza si evince chiaramente che Martina teme di allontanarsi dalle persone amate (ad. es. andando a scuola) perché ha paura di perdere il controllo sugli eventi e di rivivere una medesima esperienza di perdita.

Quando un bambino è preda di un dolore difficile da gestire e dal terrore che si possa ripetere un'ennesima esperienza dolorosa, ha l'estremo bisogno di essere rassicurato, di sapere che potrà parlare del suo dolore senza temere di rinnovare quello degli altri, di poter decidere quali strategie attuare per elaborarlo e di sapere che non sarà frustrato o criticato per le difficoltà che potrà incontrare durante il processo di elaborazione del lutto.

Alessio, a cui era stato impedito di partecipare al funerale del nonno, perché ritenuto “troppo piccolo”, quando gli fu finalmente comunicata la notizia della morte, espresse profondo dolore “per non aver potuto regalare al nonno uno dei suoi giochi preferiti” (mettendoli nella bara come è tipica usanza di molti territori) e manifestò il desiderio di andare al cimitero a personalizzare la lapide con alcuni disegni dedicati al nonno. 
Educare al dolore
E' importante ascoltare quello che un bambino ha da dire, sollecitarlo ad esprimere la propria sofferenza e accogliere empaticamente il suo dolore; è soprattutto indispensabile farlo senza preoccuparsi di fornire risposte esaustive o soluzioni magiche, perché non è quello di cui ha bisogno.  E' di peculiare importanza sostenere il bambino nel processo di elaborazione del lutto perché tale esperienza si pone come un momento cruciale di apprendimento, sulla base della quale verranno affrontate tutte le successive esperienza di perdita e separazione. A tale scopo sarà necessario utilizzare un linguaggio consono all'età e alla sensibilità del bambino e promuovere la manifestazione dei vissuti legati alla morte (disorientamento, senso di colpa, tristezza ...). Sarà altrettanto doveroso tenere in considerazione il tipo di relazione tra il bambino e la persona che è venuta a mancare: la morte di un genitore o di un fratellino, apparirà così innaturale rispetto a quello, ad esempio, di un nonno, da richiedere una sensibilità ancora maggiori sia nel momento della comunicazione della notizia, che nei mesi successivi.
La partecipazione del bambino ai rituali connessi al funerale può rappresentare una ricca opportunità di avviare il processo di elaborazione: è superfluo sottolineare che è necessario essere certi di non esporre il bambino a situazioni estremamente drammatiche e di dolore incontenibile (come nel caso della morte improvvisa di una persona giovane); partecipare al funerale infatti, renderebbe il bambino un soggetto attivo all'interno di una situazione subita e immodificabile, facilitando l'avvio del processo di elaborazione. 
Creare un contesto accogliente e supportare il bambino in questo compito così delicato, implica anche e soprattutto consentire l'espressione dei suoi vissuti nelle modalità a lui più familiari, ovvero attraverso il gioco, il disegno, l'attività motoria, il contatto fisico. Implica altresì, la necessità di impegnarsi attivamente nel dialogo su queste tematiche, senza celare la propria sofferenza ma dimostrando che si possono esprimere le proprie emozioni senza che questo ci faccia apparire deboli o incapaci. I bambini hanno bisogno di essere informati correttamente, rassicurati sul futuro, coinvolti nell'esperienza dell'elaborazione e incoraggiati a esprimere i propri vissuti.
Laddove, tali strategie non dovessero essere sufficienti oppure gli adulti di riferimento dovessero mostrare particolari difficoltà nel supportare il bambino e contenerne il dolore (magari perché comprensibilmente preda del proprio), la richiesta di un supporto specialistico che prenda in carico il bambino e la sua famiglia, può rappresentare una valida alternativa.


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