Alcuni individui vivono all'interno di un rifugio fatto di paure partorite dalla propria mente. Sequestrati da mostri che abitano il proprio immaginario e che vengono proiettati all'esterno, nel mondo che li circonda che diviene improvvisamente minaccioso. Altre persone trascorrono il tempo alla ricerca di modi sempre nuovi, e spesso nocivi, per riempire il vuoto o quel senso di rumorosa solitudine che li attanaglia. C’è chi preferisce ritirarsi dalle relazioni pur di non accettare l’evidenza del fatto che la paura degli altri ha radici dentro se stessi.
C'è poi chi erge mura intorno a se per proteggersi dal mondo esterno: da coloro da cui si è stati feriti, ingannati, traditi o delusi e non si accorge che ogni mattone gli sottrae un briciolo di libertà in più e impedisce alla luce di penetrare dentro la prigione che si sta costruendo. In uno spazio borderline tra il reale e l’irreale di cui ci si può liberare solo con la consapevolezza di quanto quello stesso rifugio, apparentemente rassicurante, sia in realtà una gabbia opprimente di cui è preferibile privarsi. Perché chi mette in atto difese estreme per proteggersi da ciò che c'è la fuori, rischia di restare soffocato nella gabbia che avrebbe dovuto proteggerlo. Perchè tante sarebbero le cose che si vorrebbero dire quando ci si sente feriti. Talmente tante che le parole si ingolfano nella testa come un ingorgo ad un incrocio all'ora di punta. Perciò tanto vale lasciarle li, tanto prima o poi scatterà il verde oppure un vigile premuroso concederà il lasciapassare e allora scivoleranno giù nella gola, troveranno la forza di esprimersi e forse finalmente qualcuno disposto ad ascoltarle. E invece restano lì, frenate dalla paura di incorrere di nuovo negli stessi errori, a metà strada tra il desiderio di un cambiamento e la possibilità di concedersi una nuova occasione.
C'è poi chi erge mura intorno a se per proteggersi dal mondo esterno: da coloro da cui si è stati feriti, ingannati, traditi o delusi e non si accorge che ogni mattone gli sottrae un briciolo di libertà in più e impedisce alla luce di penetrare dentro la prigione che si sta costruendo. In uno spazio borderline tra il reale e l’irreale di cui ci si può liberare solo con la consapevolezza di quanto quello stesso rifugio, apparentemente rassicurante, sia in realtà una gabbia opprimente di cui è preferibile privarsi. Perché chi mette in atto difese estreme per proteggersi da ciò che c'è la fuori, rischia di restare soffocato nella gabbia che avrebbe dovuto proteggerlo. Perchè tante sarebbero le cose che si vorrebbero dire quando ci si sente feriti. Talmente tante che le parole si ingolfano nella testa come un ingorgo ad un incrocio all'ora di punta. Perciò tanto vale lasciarle li, tanto prima o poi scatterà il verde oppure un vigile premuroso concederà il lasciapassare e allora scivoleranno giù nella gola, troveranno la forza di esprimersi e forse finalmente qualcuno disposto ad ascoltarle. E invece restano lì, frenate dalla paura di incorrere di nuovo negli stessi errori, a metà strada tra il desiderio di un cambiamento e la possibilità di concedersi una nuova occasione.
La TRAPPOLA DEL FALLIMENTO: quando la paura di non farcela boicotta la riuscita
Quando non raggiungi un obiettivo agognato ti ritrovi davanti a un bivio: puoi
scegliere di sentirti fallito e di crogiolarti in quella sensazione di
inadeguatezza profonda oppure attivare risorse e potenzialità che ti consentano
di rimetterti in gioco. Scegliendo la prima alternativa, hai già collezionato
un secondo fallimento. Provando a descrivere tutti gli ostacoli che si
frappongono tra te e la tua meta, ne hai accumulato un terzo. Credendo agli
alibi che tu stesso ti sei costruito per giustificarti con il mondo esterno,
permetti al tuo vissuto di frustrazione di prendere il sopravvento e di
castrare le tue capacità. E questo è, tra tutti, il vero fallimento e il più
oneroso con cui confrontarsi.
Un errore non sempre è un male a cui porre rimedio; qualche volta fornisce
il miglior feedback per imboccare la direzione giusta! L’indecisione e la
paura di fallire invece, spesso ci fanno soffermare sui dettagli superflui,
facendoci perdere di vista lo scopo principale delle nostre azioni e portandoci
ad incappare proprio negli sbagli che avremmo voluto evitare. A furia di
pensare e ripensare, analizzare e rimuginare, valutare e ponderare tutti gli
elementi di una situazione, infatti, spesso si finisce con il perdere di vista
l'obiettivo ed imboccare inevitabilmente la direzione sbagliata. Correre senza
una meta o cercare di intravederne una da lontano senza procedere in nessuna
direzione, hanno infatti la medesima probabilità di condurci dove non vorremmo
essere. Il solo modo per non chiedersi in futuro "chissà come sarebbe
stato se" invece, è quello di ignorare tutte quelle convinzioni
autolimitanti che oggi ci impediscono di provarci. Il senso di amarezza per il
fallimento di un progetto infatti è da preferire alla potenza del rimorso per
non aver neppure provato a realizzarlo.
Bisognerebbe imparare a concedere a se stessi la possibilità di perdonarsi
per la propria imperfezione e a considerare gli errori commessi e i propri
difetti con maggiore indulgenza, ricordando che l’insicurezza genera
altrettanta insicurezza e che tale circolo vizioso, talvolta, ostacola il
nostro potenziale più dei nostri reali limiti. Il più delle volte, infatti, il
compito più arduo non è quello di trovare il modo per raggiungere la felicità,
ma quello di abbattere tutti gli ostacoli interiori che ci allontanano da
essa.
Dovremmo poi imparare a guardare agli errori commessi in passato non
necessariamente come un album di fallimenti, personali ma come ad un "post
it" sulla nostra scrivania che ci ricordi di fare, in futuro, qualcosa di
diverso: adottare questa nuova prospettiva, consentirebbe di ridurre proprio
quei vissuti di ansia (= paura) che ci imprigionano in questi circoli viziosi
deleteri per il nostro senso di sicurezza. Potremmo definire la
"paura di sbagliare" infatti come la più probabile anticamera del
fallimento. Se ci ripetessimo più spesso invece che i difetti,
esattamente come le qualità, le virtù e le abilità, appartengono a tutti, senza
eccezione alcuna, riscopriremmo in noi potenzialità che non pensavamo neppure
di possedere. E siccome a cercare di assomigliare a qualcun altro si finisce comunque
con l'essere imperfetti!, impareremmo a restare fedeli a noi stessi e a
difendere con orgoglio la nostra conquistata imperfezione!
Quando la paura di fallire diviene nemica del
cambiamento
Giungere
ad un livello di comprensione profonda di se stessi, attribuire un significato
diverso alle proprie emozioni o agli eventi che le hanno
originate, inevitabilmente ci obbliga a rimettere tutto in discussione: ad
abbandonare i vecchi schemi, ad ignorare alcune convinzioni limitanti, ad
apportare cambiamenti significativi e spesso drastici nei rapporti
interpersonali. Tutto questo comprensibilmente genera paura, smarrimento e
qualche volta induce ad abbandonare il cammino intrapreso. Il
cambiamento non farebbe così paura se invece ci si convincesse che esso non
obbliga ad abbandonare le proprie certezze ma spiana la strada per acquisirne
di nuove e di più soddisfacenti. Colui che, per varie ragioni, non è
pronto al cambiamento infatti, spesso preferisce percorrere la strada che
conosce bene, seppur dissestata e piena di dossi, piuttosto che imboccare
un’uscita di sicurezza.
Con il termine "autoconsapevolezza", gli psicologi intendono la
capacità di sintonizzarsi sul proprio vero Sé, frutto di un processo, faticoso
e dispendioso sul piano psichico che può essere avviato solo da parte di colui
che è disposto ad entrare in contatto con le proprie emozioni, i propri bisogni
e, soprattutto, le proprie risorse interiori, il più delle volte sottovalutate.
Intraprendere questo viaggio consente di riscoprire la propria storia personale
e rileggerla attraverso una lente di ingrandimento in grado di restituircela
depurata da quegli ostacoli che bloccano la crescita personale e ci impediscono
di guardare fiduciosi al futuro.
La nostra storia personale, compresi gli eventi che hanno minato la fiducia
in noi stessi, infatti, è quanto di più lontano si possa immaginare dalla
realtà dei fatti realmente accaduti: essa è frutto del modo in cui li abbiamo
percepiti, dei ricordi che siamo riusciti a conservarne e del modo in cui li
abbiamo rielaborati per renderli più accettabili. La nostra realtà non
è altro che una trama intrecciata con le esperienze individuali di cui i
fallimenti non possono e non devono rappresentarne i nodi di
congiunzione! Quando questo accade è opportuno valutare la possibilità
di richiedere un supporto professionale che aiuti a rivederne l'intreccio:
raccontare la propria storia in un setting appositamente strutturato permette
di operare un compromesso fra imperativi consci e inconsci, fra funzioni
cognitive, meccanismi difensivi e rappresentazioni fantasmatiche. La narrazione
diviene in questa cornice un modo elegante ed efficace di addomesticare la
propria realtà emotiva, attribuendo nuovi significati a frammenti di vita di
cui l’Io diviene regista e non rischia di essere relegato a mera comparsa di
una prevedibile e stantia sceneggiatura.
La resistenza al cambiamento
Nonostante sia opinione diffusa, Cambiare non richiede quasi mai una
rivoluzione nella propria esistenza; non implica la necessità di lasciarsi alle
spalle le certezze acquisite, né il dovere di tradire le promesse fatte a se
stessi, né tanto meno l’obbligo di annullare le conquiste emotive e
relazionali faticosamente conseguite. Cambiare non significa perdere la
strada ma solo decidere di imboccarne una nuova, quando quella vecchia non ci
soddisfa più. Significa intravedere destinazioni che ci spingano ad
intraprendere un nuovo viaggio, più soddisfacente e gratificante di quello
attuale. Significa, soprattutto, lasciarsi alle spalle le proprie pretese
nei confronti degli altri e le aspettative riposte nelle relazioni
interpersonali. Implica attrezzarsi di strumenti nuovi e funzionali al
raggiungimento di nuovi obiettivi, liberandosi di quelle convinzioni limitanti
che impediscono di afferrarli e farne buon uso. Il più delle volte, un
autentico e sentito processo di cambiamento, comporta solo la volontà di
cercare nuove soluzioni a vecchi problemi!
Il cambiamento fa paura è vero, perchè quando si scava a fondo in se stessi, non sempre ci piace quello che troviamo. In più cambiare obbliga a rivedere le nostre abitudini, che per quanto a volte sbagliate o fonte di malessere, almeno sono rassicuranti perchè rendono la nostra vita prevedibile! A volte però è necessario cambiare, quando la situazione diventa intollerabile e il nostro malessere rischia di avere conseguenze anche su chi amiamo.
RispondiEliminaProva a pensare che un errore non sempre è un male a cui porre rimedio; qualche volta fornisce il miglior feedback per imboccare la direzione giusta:questa, dottoressa, me la scrivo sullo specchio!
RispondiEliminaLa paura di sbagliare ce lo da quando ero nella culla. Mia madre era piena di paure, ansiosa e insicura e me le a trasmesse per tutta l'infanzia. Mio padre trattava male entrambi: bisognava fare solo quello che voleva lui se no si arrabiava. E difficile superare certe cose quando sei cresciuta così.:
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